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mercoledì 28 novembre 2012

Ricca ed Imbelle

Il mio romanzo ha anche, dichiaratamente, uno scopo sociale. L'auspicio è che i miei conterranei, specchiandosi nei personaggi e nei popoli che incontreranno in Neapolis - Il Richiamo della Sirena possano darsi una scossa, perché ritengo incredibile che, a distanza di duemilatrecento anni, determinati comportamenti possano essere perfettamente riconoscibili.
Mi riferisco soprattutto a come ho dipinto i Campani, gli abitanti di quella Campania Felix così coccolati dalla natura dei luoghi da essere incapaci di affrontare qualunque avversità senza piegarsi ad un nuovo padrone, ad un nuovo dominatore.
Mappa dell'antica Campania Felix

Il territorio della Campania Felix al tempo dell'antica Roma. Fonte: Wikipedia.

La città di Capua, la principale sul territorio, ricchissima, è l'esempio emblematico di quest'indole non docile, ma del tutto irresoluta. Uno dei protagonisti del mio romanzo viene da lì, e ne ha orgoglio e scorno al tempo stesso: la città, minacciata di essere aggredita dai Sanniti, non aveva trovato soluzione più confacente alla propria natura che darsi nelle mani di Roma. Ce lo racconta Tito Livio in Ab Urbe Condita VII, 31:
Gli ambasciatori (di Capua) furono allora fatti ritirare mentre il senato considerava le loro richieste. A molti era evidente che la più grande e ricca città d'Italia, con un territorio fertilissimo vicino al mare, sarebbe stato un magazzino per il Popolo Romano in tempi di carestia.
Eppure questa grande opportunità era di minore importanza per loro che il loro onore ed il console, essendo stato così istruito dal senato, offrì la seguente risposta agli ambasciatori: «Uomini della Campania, il senato vi considera degni di aiuto; ma possiamo diventare vostri amici solo a patto di non violare un'amicizia ed un'alleanza più vecchia. I Sanniti e noi siamo uniti da un accordo; dobbiamo pertanto rifiutare di muovere guerra ai Sanniti per conto vostro, perché ciò sarebbe offendere innanzi tutto gli dei e poi gli uomini; ad ogni modo, noi invieremo ufficiali, com'è giusto e corretto, per pregare i nostri alleati ed amici di non usarvi violenza.»
A ciò il capo della delegazione rispose - d'accordo con le istruzioni che avevano con loro: -«Dal momento che rifiutate di usare giusta violenza per proteggere dalla violenza e dall'ingiustizia ciò che ci appartiene, voi proteggerete almeno ciò che è vostro;
«alla vostra sovranità, pertanto, Padri Coscritti, ed alla sovranità del popolo Romano, affidiamo il popolo della Campania e la città di Capua, con le nostre terre, i templi dei nostri dei, e tutte le altre cose, sia sacre che profane; qualunque cosa dovremo sopportare d'ora in poi, la sopporteremo come vostri sudditi volontari.»
Quando queste parole furono pronunciate, essi distesero in avanti le loro mani supplicando il console, e piangendo amaramente, si gettarono faccia al suolo sul pavimento dell'ingresso della Curia.
I padri erano profondamente commossi dalle vicissitudini dell'umana fortuna, considerando come quel popolo grande ed opulento, famoso per il suo lusso ed orgoglio, al quale poco prima i suoi vicini avevano chiesto assistenza, fosse diventato così spezzato nello spirito al punto di affidarsi con tutti i suoi averi al possesso di un'altro.
Essi ora considerarono che fosse un punto d'onore il non tradire coloro che erano diventati loro sudditi; né essi credevano che il popolo Sannita si sarebbe comportato giustamente, se avesse attaccato un Paese ed una città che, con la resa, era diventato proprietà del Popolo Romano.
Di conseguenza il senato votò di inviare ambasciatori ai Sanniti, senza perder tempo. Le loro istruzioni erano di informare i Sanniti su ciò che i Campani avevano chiesto, come il senato, ricordando l'amicizia dei Sanniti, aveva risposto loro, ed infine come quelli si fossero arresi;
essi dunque avrebbero dovuto richiedere che i Sanniti, per rispetto all'amicizia ed all'alleanza coi Romani, risparmiassero i loro sudditi, e non compissero incursioni ostili in un territorio che apparteneva ora al Popolo Romano;
se le parole gentili si fossero dimostrate inefficaci, essi avrebbero dovuto avvisare i Sanniti, in nome del Popolo Romano e del senato, di non mettersi contro la città di Capua o col dominio Campano.
Ma i Sanniti, quando queste cose vennero loro comunicate nel loro consiglio (il kombennium) dagli inviati, si comportarono tanto insolentemente che non solo dichiararono che essi avevano intenzione di proseguire la guerra, ma i loro magistrati, all'uscita della sede del senato (sannita) -alla presenza degli inviati- chiamarono
i comandanti delle loro coorti, e ad alta voce ordinarono loro di procedere subito per realizzare un attacco contro la Campania.
L'anfiteatro dell'odierna Santa Maria Capua Vetere

L'anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere -l'antica Capua-, il più grande dell'impero romano. Fonte: Wikipedia.

La frittata era fatta: incapaci di difendersi da soli, i Campani avevano offerto a Roma la scusa per cominciare il conflitto più lungo e sanguinoso che si fosse mai visto sullo stivale. Si tenterà di giustificare quest'atteggiamento passivo con la paura per il temibile nemico che erano i Sanniti, se non fosse che lo stesso Livio osserva come poco tempo prima i Campani avessero aiutato loro vicini nel momento del bisogno.
Ed in effetti, i Campani non erano assolutamente noti per essere degli imbelli: la storia, prima e dopo questo evento, è piena del valore dei Campani, della loro capacità come cavalieri, della loro abilità con le armi, ma sempre come mercenari, al soldo di qualcun altro! Il loro problema è sempre stato quello di non avere alcuna intenzione di difendere la propria terra, e così è ancora oggi.

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