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venerdì 15 gennaio 2021

Perché Neapolis

Scrivere è sempre stato per me uno svago e un intrattenimento personale, alle volte dormiente per lungo tempo, altre volte ridicolizzato dalle opinioni altrui, ma sempre tornato con prepotenza a costringere la mia penna sul foglio.
Né nascondo che, in un secondo tempo, terminato il furor, l'estro, il momento creativo tutto personale, fa piacere immaginare che quanto scrivo possa essere apprezzato e condiviso da altri. Non è vanagloria, ma autentico piacere di comunicare, perché noi umani siamo animali sociali, e per quanto in alto possiamo raggiungere le nostre vette, si riducono a nulla se non siamo in grado di raccontare l'impresa a nessuno.
Ma quando decisi (ormai tanti) anni fa di cominciare a scrivere di Neapolis, feci una scelta lucida e razionale: volevo un filo conduttore che potesse imbrigliare con un motivo potente, continuo, inesauribile, la mia voglia di scrivere, e la storia di Napoli è tutte queste cose; ero all'estero, e prima di allora il mio particolare legame con Napoli non si era fatto sentire così prepotente perché, ammetto di aver peccato anch'io di questo peccato assai comune, la mancanza è (sembra banale) il sentimento di ciò che manca e, come dice la canzone “luntano 'a Napule nun se po' sta'”.

Il Castel dell'Ovo, sull'isolotto di Megaride, sullo sfondo del Vesuvio. Il primo approdo dal quale è nata Napoli.
Foto di Mirko Bozzato, © 2020.

C'era poi la mia maturazione: la circostanza di risiedere all'estero mi stava dando l'opportunità di conoscere, assumere, apprezzare altri modi di vivere e pensare che ribaltavano tanti preconcetti che avevo. Quei sospirati “deve poter esserci un altro modo per fare le cose” cominciavano a trovare conferma della loro esistenza, e non si trattava di idee balzane o surreali, ma di incombenze quotidiane come può essere la semplice domiciliazione bancaria, nel 2002!
Immaginate: io, originario di un ambiente e una cultura che millantano il primato della furbizia e dell'astuzia (nei casi più deleteri, a scapito degli altri), ricevevo conferma che, sebbene quelle qualità siano indispensabili in tempi di necessità, altre sono indispensabili per vivere come tanti dicono solo di voler fare, prigionieri di una mentalità miope che gli fa percepire il vantaggio a corto termine come l'unico meritevole di essere conseguito.
Dove nasce quest'atteggiamento in noi meridionali? L'argomento è ormai diventato campo di battaglia ideologica e io non amo quel genere di contesa, perché pugnandola non si arriva da nessuna parte. Né le cose sono migliorate col tempo: nel corso di due decenni siamo passati dal terronismo al leghismo, al neoborbonismo, e ora al risorgimentismo, tutti modi di pensare più o meno diffusi a diversi livelli perfino della cultura, tutti accomunati da un interesse morboso per l'annessione armata del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Fu impresa eroica? Fu salvataggio da un'invasore? Furono massacri, saccheggi e spoliazione? Mentre i social rilanciano giorno dopo giorno ora l'uno, ora l'altro punto di vista (come se la Storia fosse opinabile), la querelle mi infastidisce, mi irrita nell'attesa che voci autorevoli mettano fine a una diatriba inutile!
Sì, inutile: potrei capire se i meridionali di oggi, facendo tesoro della lezione cha la storia ha dato loro, dimostrassero di saper impiegare quelle virtù tante volte decantate per il bene della loro terra, ma a me non pare che il mezzogiorno sia questo crogiuolo di imprenditori, di idee, di consorzi, di mutua assistenza, di rivalutazione del territorio, di innovazione che sono la base per affrontare le sfide del XXI secolo! Eppure, qualcosa dentro di me diceva che quelle caratteristiche erano sopite ma non cancellate in ciascun mio conterraneo. E allora?
Allora vidi che rivangare quell'unico momento nella Storia al quale tanti attribuiscono ogni rovina possibile e immaginabile era sciocco: se avessi scritto storie del tempo di Garibaldi, l'evento storico avrebbe preso il sopravvento, nel migliore dei casi avrei potuto scrivere di tradimenti, congiure, corruttele, intrighi… Io volevo al contrario esaltare l'estro, il genio, il senso dello Stato. Invece di perdermi in polemiche, volevo che ciascun meridionale cominciasse a cercarli dentro di sé.
Ma per farli cercare, dovevo prima trovarli io stesso, e dove? Questa è la domanda alla quale cercai di rispondere facendo quello che faccio normalmente per mestiere: ricercare. E fu così che cominciai come a scuola, dalla storia antica, e dalle nebbie del mito emerse un mercato di coloni greci, isolati dalla madrepatria e separati da un entroterra ostile, orgogliosi di una protezione mitica, quella della Sirena Parthenope.
Napoli è una città che ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la fantasia, il sacro, l'esoterico, il soprannaturale, spesso miscelati in forme sconcertanti e mirabolanti allo stesso tempo, e da quell'elemento mi sono lasciato guidare, l'ho scelto come filo conduttore del mio scrivere perché spesso la spiegazione più semplice, sembra strano ma, più comprensibile per eventi pur storicamente accertati, è l'intervento di alcunché di trascendente alla natura umana.
E quell'alcunché di trascendente, con la sua superiorità, spiega e istruisce allo stesso tempo: è a esso che si ispira il nostro senso di giustizia, del dovere, dell'amore. Le nostre virtù sono riferite a qualcosa che non è umano ma è solo un concetto, un'astrazione, un ideale perfetto e inalterabile (sebbene generazioni diverse lo coniughino ciascuna a modo proprio), e ciò vale tanto per chi crede in un Essere Supremo ordinatore di tutte le cose, tanto per chi informa la propria vita all'osservanza di quegli ideali in quanto degni per sé stessi di guidare la vita dell'Uomo.
Laggiù, persi nelle nebbie della Storia più remota, lì dove la Storia propriamente detta e il mito s'intrecciano, gli unici riferimenti certi erano documenti e cronache di autori odiati da (quasi) ogni studente di ordine e grado, e poi i ritrovamenti più recenti di archeologi, sul cui lavoro storici avevano dedotto cose comunicate spesso solo in ristrette comunità scientifiche. La materia era insomma a un palmo dal naso, ma sulla copertina c'è un grande timbro rosso che dice “NOIOSO”!
Quella materia ho cominciato a sfogliarla coi mezzi a mia disposizione, e personaggi, eventi, vicende incredibili hanno superato un abisso temporale e hanno assunto ruoli in storie delle quali non avevo mai udito l'uguale, e che pure erano esattamente ciò che cercavo: cercavo una Napoli colta, nobile, orgogliosa del proprio operato, attenta al proprio popolo al punto di ricorrere ad astuzie e inganni per proteggerlo, non per approfittarne, e già l'avevo trovata nella vicenda narrata in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Ora giunge I Signori dei Cavalli, che è sulla stessa linea. Anche quest'altro romanzo racconta che sì, è nelle nostre mani fare della nostra terra ciò che vogliamo che sia, perché così è già stato in passato.
Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, “Perché Neapolis?”, perché quando a Napoli arrivarono i Savoia, e prima i Borbone, e prima gli Spagnoli, e più indietro gli Aragonesi, gli Angioini, i Normanni… questa città aveva già migliaia di anni di storia, ed è quindi lampante come il sole che è stata la città a dare lustro alle dinastie che l'hanno dominata, non viceversa.
Chiudo questo post con una notizia dall'editore: i due volumi in uscita il 25 gennaio, Neapolis - Il Richiamo della Sirena (nella nuova edizione riveduta e ampliata) e Neapolis - I Signori dei Cavalli, sono in preordine presso i principali bookstore in rete: chi lo desidera può già ordinare i due capitoli della lunga storia della sirena usando i link pubblicati in questo blog!

sabato 9 gennaio 2021

Il Richiamo della Sirena (II Ed.)

Post breve, ma denso di contenuti: cominciamo con la data di pubblicazione, finalmente fissata al 25 gennaio!

Annuncio dell'editore della data di pubblicazione dei romanzi Neapolis - I Signori dei Cavalli e della nuova edizione di Neapolis - Il Richiamo della Sirena.

E con Neapolis - I Signori dei Cavalli prossimo alla pubblicazione, mi è data l'occasione non solo per ripercorrere la trama del romanzo, ma anche per riflettere su cosa è cambiato nel mio sentire queste opere.
Per quanto possano assorbire la gran parte del tempo che dedico a scrivere, questi romanzi sulla storia di Parthenope sono per me eccezioni, non la norma. Sono sempre estremamente pronto a lasciarmi distrarre da un'emozione, da una sensazione che vuole essere descritta. Lascio che il momento creativo scorra potente e spensierato come un bambino all'uscita di scuola, ma tutti sappiamo che l'entusiasmo dei bambini è spesso un fuoco di paglia: basta un insetto, la voce di un amico, e già stanno pensando a qualcos'altro. Indubbiamente, riuscire a scrivere un racconto breve sembra più semplice.
Ci ho provato, l'ho fatto, so che non è così, e i Racconti alla Luce della Luna o i diversi altri racconti da me proposti lo dimostrano, ma ecco, adesso rischio di cambiare argomento…
Un romanzo richiede doti di perseveranza e attenzione, di cura, di continuo tornare e ritornare sugli stessi passi fino a quando lo stesso scrittore sia convinto della coerenza di tutto quanto ha messo nero su bianco. Se in un racconto breve la sospensione dell'incredulità è relativamente semplice da sostenere, in un romanzo bisogna profondere un impegno titanico per ottenere lo stesso risultato dal principio alla fine.
Potrà sembrare singolare un commento simile parlando di romanzi storici, ma c'è una gran differenza tra la vicenda storica (quella, indiscutibile) e il romanzo che in essa vive. Quando poi tale opera sia posta nel contesto di una serie di romanzi, la ricerca della coerenza tra le diverse storie, la robustezza del filo conduttore, diventa quasi tortura per lo stesso autore!
Neapolis - Il Richiamo della Sirena è stato pubblicato nel 2013, e I Signori dei Cavalli è prossimo alla pubblicazione a gennaio 2021: quasi otto anni li dividono, otto anni durante i quali sono cambiato nel mio modo, se non di sentire le cose, di proporle. Sicché I Signori dei Cavalli è frutto di quest'altro me che ama gli stessi luoghi e dice le stesse cose di prima, ma in modo diverso, e anche la scrittura lo dimostra. E poi c'è l'editore.
Ammetto che quando l'editore ha proposto una seconda edizione de Il Richiamo della Sirena sono rimasto sorpreso: davvero non era nei miei pensieri, ma lui ha pensato che i futuri lettori de I Signori dei Cavalli avrebbero voluto leggere anche il suo predecessore che, nel frattempo, è andato del tutto esaurito.
Proprio così: a una prima tiratura è seguita una seconda, ma de Il Richiamo della Sirena, vincitore della IV edizione del Premio Letterario Nazionale “Liber da mare - Libri d'amare”, restano pochissime copie in giacenza presso i distributori.
Nondimeno, c'è una bella differenza tra una seconda edizione e un'altra tiratura, e quella differenza sta proprio nei cambi che l'autore ha vissuto.
Basta confontare le due opere: I Signori dei Cavalli, lo vedrete, è più focalizzata. Il Richiamo della Sirena era infatti anche una scusa per accompagnare il lettore tra le plateie e gli stenopoi della Neapolis greca, un po' come aveva fatto Bartolommeo Capasso nel suo Napoli Greco-Romana. Nel nuovo romanzo Neapolis è solo lo scenario della vicenda: rivive insieme ai personaggi ma non ha un ruolo da protagonista perché l'attenzione è posta altrove.
Da questa differenza deriva che nel primo romanzo vi fossero tante note a pie' di pagina: era per me terribilmente importante fornire al lettore le fonti che sostenevano le cose incredibili che raccontavo, per dimostrare che non stavo inventando tutto. Nel secondo romanzo, che si svolge durante il bellum hannibalicum, quest'esigenza è assai più attenuata: quel conflitto ci è noto fin dalle scuole elementari, e ho ritenuto più corretto radunare le fonti e i passi da esse estratti in una Bibliografia. I più curiosi possono già consultarla su questo stesso blog.
C'è poi il problema dei nomi, moltissimi assai diversi da come li usiamo oggi, per pronuncia, per lingua, per i tanti accidenti che capitano in duemila anni di storia. Anche in questo caso nel primo romanzo ricorrevo spesso a note a pie' di pagina, ma lo strumento era alle volte fastidioso alla lettura. Ho allora preparato un Indice dei nomi, che sarà nelle appendici tanto de I Signori dei Cavalli quanto della seconda edizione de Il Richiamo della Sirena.
Ovviamente, una seconda edizione richiede anche una prefazione che la giustifichi, e con questo… ho taciuto il più. Ho taciuto la sorpresa di rileggere, a distanza di anni, quella storia che si è fatta scrivere da me; ho taciuto l'attento rivalutare angoli più nascosti della vicenda e inquadrarli con la nuova luce di una sola parola cambiata, spesso un solo più azzeccato sinonimo; ho taciuto il cambio di ritmo dettato da qualche virgola in meno…
È stato anche questo un bel lavoro, realizzato nel massimo rispetto del primo testo, né avrebbe avuto senso altrimenti perché Il Richiamo della Sirena è il romanzo che tanti (vabbe', alcuni) amici hanno letto e conoscono.
Per chi è dunque questa seconda edizione? Come spero di aver chiarito, chi ha avuto la bontà di leggere la prima non ha motivi di affannarsi ad accaparrarsi questa seconda. Chi invece non ha ancora letto né Il Richiamo della SirenaI Signori dei Cavalli ha l'opportunità di seguire queste vicende in una veste più omogenea e resa più solida da una scrupolosa revisione critica del suo stesso autore.
Dato il doveroso spazio a questa seconda edizione, i prossimi post saranno ovviamente di nuovo incentrati su I Signori dei Cavalli. L'appuntamento con entrambi i romanzi in libreria è, naturalmente, per il 25 gennaio. Chi lo desidera, può cominciare a prenotarli presso il sito web dell'editore, accessibile usando i link riportati in questo stesso blog.

mercoledì 23 dicembre 2020

Neapolis, Kampanon, Italía

Nello scrivere un romanzo, che è pur sempre un'opera di fantasia, credo che ogni scrittore si proponga un obiettivo che non è solo comunicativo, ma anche stilistico. Non è importante solo il messaggio, ma anche come lo si comunica, perché gli strumenti usati sono essi stessi veicolo del messaggio.
Un esempio abbastanza lampante di quest'affermazione ce l'offre la musica, capace di trasmettere stati d'animo con la semplice scelta di un tempo, e infatti nell'opera classica incontriamo i termini grave, allegro, vivace e vivo con diverse loro varianti, tutte indicanti un ritmo, ma riferibili benissimo a uno stato d'animo.
Già nella prefazione a Neapolis - Il Richiamo della Sirena avevo chiarito che uno degli obiettivi che mi sono prefisso coi miei romanzi è la riscoperta di momenti alti sebbene in larga parte dimenticati della storia di Napoli e della Campania. Da un lato non volevo rinunciare a dare una componente fantastica a questi romanzi, per motivi più o meno immaginabili e altri più personali, e sui quali mi riprometto di tornare per non perdere ora di vista l'obiettivo di questo post; dall'altro questa componente andava assolutamente bilanciata con la realtà storica degli eventi narrati, o avrei del tutto vanificato il mio intento dichiarato: chi avrebbe mai creduto alle vicende di un romanzo di pura fantasia? Non potevo insomma permettere che proprio il mio scrivere volesse dire: “Opera di pura fantasia, come autocertificato dal loro autore”!
Credo che lo sforzo di cercare continuamente quest'equilibrio tra il lato storico e quello fantastico sia premiante per l'opera, che acquista profondità mentre tento di coniugare e armonizzare questi due poderosi motivi creativi: unirli e non contrapporli è ciò che a mio parere rende unici questi romanzi, e credo anche che conferisca loro un'identità sfacciatamente napoletana, in perenne tensione tra un passato palpabile quotidianamente nelle onnipresenti credenze popolari, e un futuro sempre anelato e predicato come la porta del riscatto di una città che è stata avanguardista per secoli.
Riscoperta di momenti storici, dunque, ovvero di fatti realmente avvenuti. Ma i romanzi, anche quelli puramente storici, devono così tanto alla fantasia che è obiettivamente difficile convincere il lettore della verità di quanto si scrive senza altro strumento che la narrazione, anche perché la narrazione è spesso così incredibile che mette essa stessa in dubbio la veridicità delle vicende eposte.
Tra scrittore e lettore esiste però una specie di patto, segreto e non scritto, che i critici hanno codificato e al quale hanno dato un nome, la “sospensione dell'incredulità”: un artificio tecnico dello scrittore che fa leva sulla predisposizione del lettore a seguire la narrazione che quello gli propone. Non sono in grado di farne un'esposizione scientifica ed esaustiva, ma è chiaro che il lettore di una fiaba si trova in un tale stato mentale quando accetta e segue una narrazione di draghi, ad esempio. Per i miei romanzi, la sospensione dell'incredulità non era uno degli obiettivi, ma uno dei principali!
Quando riesce bene, la sospensione dell'incredulità ha generalmente motivo d'essere per tutta la durata dell'opera, che può essere un libro, un film o un'opera teatrale. Un romanzo storico deve però avere un'ambizione più grande, deve andare oltre le proprie pagine, perché le vicende narrate non sono opere di pura fantasia. Il mio uso della sospensione dell'incredulità deve quindi seguire questa considerazione e diventare “induzione al dubbio”: volevo che, terminata la lettura, nonostante gli elementi fantastici contenuti nella narrazione, il lettore si ponesse seriamente il dubbio che tutta la narrazione fosse reale, perché questo sarebbe stato l'unico modo di accertarmi che sarebbe andato a verificare ciò che io avevo solo raccontato. Quel momento di indagine autonoma del lettore, e non l'acritica accettazione della mia personale narrazione era ciò che desideravo raggiungere!
In Neapolis - Il Richiamo della Sirena sono presenti numerose note a pie' di pagina che rimandano ai passi nei quali storici e archeologi, dai tempi della vicenda e fino ai giorni nostri, hanno scritto ciò che io mi sono spesso limitato a rimettere in bella forma e ad armonizzare in un'unica opera. Speravo che una tale quantità di evidenze avrebbe destato la curiosità dei lettori.
Neapolis - I Signori dei Cavalli è alquanto diverso dal primo romanzo. Sviluppato per celebrare l'azione eroica di un uomo del quale ci restano pochissime, concitate righe di Tito Livio, il racconto si svolge nella più ampia e opprimente narrazione del bellum hannibalicum, costringendomi così a un'operazione di certosino recupero di ogni minimo dettaglio che fossi in grado di reperire nella marea di eventi riportati dagli storici. In un certo senso, è stata una personale “campagna di scavi archeologica-narrativa”, come quando ci si imbatte nei resti di una fornace di duemila anni fa e, tra gli infiniti frammenti dei vasi andati in pezzi durante la loro lavorazione, si cerca di ricostruirne uno in particolare. Nessun museo proporrebbe una didascalia che spiega per filo e per segno il restauro di ciascun singolo frammento e la loro successiva ricomposizione, ma offrirebbe alla contemplazione del pubblico il vaso ricomposto, la spiegazione dei suoi motivi decorativi, perché il vaso e non l'opera di restauro sono l'oggetto della visita del pubblico.

Porzione della Tabula Peutingeriana che illustra la parte di Italia tra Puglia e Campania ai tempi di Augusto.

Neapolis - I Signori dei Cavalli ha raccolto queste considerazioni, e contiene assai meno note di quante ne contenesse il suo predecessore. I richiami? Una bibliografia raccoglie tutte le fonti che ho usato per realizzarlo, e non solo. Tra le appendici è anche inclusa una lista dei nomi, dal momento che questi sono cambiati nel tempo, spesso perdendo il contatto col loro significato etimologico: le persone non ricordano oggi perché i tali luoghi hanno tali nomi. Ripeto che tutto questo sforzo aveva il duplice obiettivo di attivare la sospensione dell'incredulità e rendere tangibile, reale, non solo realista la narrazione offerta, e siccome ogni nota a pie' di pagina ha il potere di interrompere una narrazione come poche cose, e con essa ogni sospensione dell'incredulità faticosamente raggiunta, ho preferito condensare nelle appendici i richiami alle fonti dell'opera.
Quanto si può rendere reale un romanzo? Avrebbe senso proporre tavole illustrate come accade con alcuni libri per ragazzi? La domanda è risposta a sé stessa: no, perché automaticamente il romanzo verrebbe etichettato come “per ragazzi”, cosa che chiaramente non è. L'unica eccezione a questa regola sarebbe stata qualcosa di palesemente colto (sebbene la cultura di molti ragazzi superi notevolmente quella di molti adulti), un documento dell'epoca intelleggibile ancora oggi. La Tabula Peutingeriana, che chiude il volume, ha queste a altre caratteristiche.
È una mappa dei luoghi, un tratto di unione tra quel tempo e il nostro che dimostra come i luoghi dei quali scrivo siano esattamente gli stessi che noi calchiamo oggi. La mappa originale fu probabilmente fatta realizzare da Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, per illustrare la rete viaria pubblica dell'impero. Alla morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo. Nel tempo, copie della carta furono realizzate, e quelle in nostro possesso discendono tutte da un'unico esemplare del XII-XIII secolo dato a conoscere dall'antiquario del '500 Konrad Peutinger, oggi ospitato presso la Hofbibliotek di Vienna, e posto nel 2007 dall'UNESCO nel Registro della Memoria del mondo.
La mappa non è geograficamente esatta, indica le distanze tra le località giacché Augusto aveva realizzato il riordino della rete viaria romana, ma a una prima occhiata è difficile trovare un'immediata somiglianza tra il suo contenuto e le carte moderne. Il nord, ad esempio, è alla destra della mappa.
Dal momento che i fatti narrati in Neapolis - I Signori dei Cavalli si sono svolti per lo più tra Campania e Puglia, il volume offre una riproduzione della porzione della mappa relativa a questa regione. Non mancano dettagli che spero sorprenderanno piacevolmente il lettore, e vorrei commentare quelli che sono già stati pubblicati mediante diverse fonti.
La prima immagine di questo post raffigura la mappa a corredo del volume nella sua interezza: essa raffigura parte dell'Italia da Terracina a Salerno sul versante tirrenico (parte inferiore della mappa) e da Vasto (Istonium) a Brindisi su quello adriatico. In questa porzione dello stivale si mosse Annibale tra il 214 e il 216 a.C.
Una bellissima foto, molto evocativa, è la seconda, già circolata sul web, dove sono indicate alcune delle località principali dell'azione del romanzo: l'immagine è centrata su Capua, la nota sede degli “ozi” (dei quali ho già estesamente scritto), intorno alla quale sono visibili Puteolis, Calatie, Suessula, Atella e, ovviamente, Neapolis. Sul monte alle spalle di Capua non si legge completamente la dicitura “Castra aniba(lis) - Iovis Tifatinus”.

Dettaglio della Tabula Peutingeriana nella regione tra Capua e Neapolis, come sarà offerta a corredo di ogni copia di Neapolis - I Signori dei Cavalli.

Immediatamente, nomi di oggi e del tempo si confondono, diventano estranei eppure evocativi. È il caso di Calatia, Suessula e Atella, all'epoca degne di apparire su questa mappa, e che oggi godono di assai minor fortuna. Eppure, Atella è stata la patria di un genere di commedia (l'atellana) che ha avuto un enorme successo in epoca romana, e alla quale vengono attribuiti tutta una serie di motivi e caratteristiche di quella che è poi diventata la grande tradizione del teatro comico napoletano. Di questa città sappiamo che diede i natali a diversi personaggi di una certa rilevanza, a massimi magistrati della federazione campana durante la guerra di Capua contro Roma al tempo dell'alleanza con Annibale, ma le sue rovine non sono oggi meglio individuate nel territorio tra Frattaminore, Orta di Atella, Sant'Arpino e Succivo.
Suessula era un nodo commerciale di una certa importanza posto in località Calabricito, nell'attuale comune di Acerra, lungo la strada che conduce a Nola. Di esso restano gli scavi posti accanto alla Casina Spinelli, che ha raccolto gran parte dei reperti della zona scoperti dall'800 alla Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, i reperti furono donati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove costituiscono la Collezione Spinelli.
Calatia, oggi posta nel territorio di Maddaloni, al confine con San Nicola la Strada, fu una città fortificata etrusca, campana e poi romana posta lungo la Via Appia. Non grandissima per dimensioni, ebbe rilevanza strategica e politica, e i suoi resti sono oggi raccolti nell'interessante Museo Archeologico di Calatia, aperto solo nel 2015.
Nella stessa zona la mappa riporta una gran quantità di ulteriori toponimi: Herclanum, Oplontis, Stabios, Pompeis, Surrento, Templ. Minerve, Nola, Nucerie, Caudio, Benevento, Avellino, Cajatie, l'attuale abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis (ad Diana), Syllas, Adlefas, Casilino, Cale, Teano Sedicino, Telesie, Literno, Cumas, Vulturno, Ad Nonum, Sinuessa… Sarà facile riconoscere alcuni luoghi, meno facile altri, eppure lo sforzo premierà chi lo affronti, gratificandolo col sapore della scoperta di un'antichità forse ignota ai più.
Quest'antichità, che indica un'organizzazione e uno sviluppo difficilmente contrastabili altrove a quel tempo, è ciò di cui dovremmo essere orgogliosi noi campani, e non tanti primati di dubbia consistenza, perché l'orgoglio ha valore solo per ciò che si è o si ha, non per un obiettivo raggiunto da qualcun altro, fosse anche nostro padre! Quest'antichità è il tesoro che abbiamo e che dobbiamo imparare a tenerci stretto perché unico al mondo, e per raggiungere quest'obiettivo è nostro dovere pretendere programmi educativi più specifici, un'istruzione più robusta, seria, profonda, un'apertura a collaborazioni culturali e la realizzazione di progetti per la promozione di tutto il territorio, probabilmente uno dei pochi al mondo che potrebbe davvero vivere di un turismo facoltoso e di qualità.

sabato 12 dicembre 2020

Con-versi-amo

Pubblico con entusiasmo la copertina di Neapolis - I Signori dei Cavalli! È un po' come vedere il viso di una persona della quale ho fino a ora solo sentito parlare, che finalmente incontro. Con queste due immagini, l'una reale, l'altra metaforica, apro un post dedicato alla poesia contenuta ne Il Signore dei Cavalli. Ripercorrerò con esempi come sono giunto ad apprezzare la presenza della poesia in un'opera letteraria. Il gioco di parole nel titolo, “con-versi-amo”, è infatti sia un invito a voi lettori a dialogare, sia il messaggio “mi piace quando c'è poesia”.

lunedì 20 luglio 2015

Gli Ozi di Capua - secondo Polibio

La settimana scorsa abbiamo finito di raccogliere le idee sull'attendibilità di Tito Livio quando ci narra degli Ozi di Capua, e siamo giunti alla conclusione che possiamo probabilmente considerare l'episodio come inventato di sana pianta dalla propaganda romana.
Quello che manca per esser certi di una simile affermazione è magari una testimonianza dall'altro punto di vista, quello cartaginese, ma sappiamo come andò a finire…
Sul promontorio di Hera Lacinia, nei pressi di Kroton, anticamente esisteva un tempio dedicato per l'appunto a Giunone, e che era molto venerato da tutti i popoli dell'antichità. Lasciando l'Italia per correre in soccorso della sua Cartagine, ormai minacciata dall'esercito romano guidato da Scipione, Annibale lasciò nel tempio qualcosa di immensamente prezioso: il diario della sua avventura in Italia inciso su di una colonna.
Resti archeologici di Capo Colonna

I resti del Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna. Qui Annibale lasciò un diario della propria impresa italica prima di tornare a Cartagine per difenderla da Scipione.
Fonte: Wikimedia Commons

mercoledì 15 luglio 2015

Gli Ozi di Capua: dopo Capua

La settimana scorsa abbiamo cominciato col mettere in dubbio le parole di Livio a proposito dei famosi Ozi di Capua, e abbiamo trovato nelle pagine dello stesso autore episodi che ci parlano di un Annibale incapace di prendere con le sole armi cittadine di modesta entità anche prima della sua permanenza a Capua. In questo post cercheremo di vedere cosa accadde dopo i famigerati Ozi.
Quando il tempo si fece più mite, Annibale guidò il suo esercito fuori dei quartieri d'inverno e marciò nuovamente su Casilinum.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 19]

lunedì 6 luglio 2015

Gli Ozi di Capua: prima di Capua

Ho promesso da diverso tempo di dedicare un post a un famoso episodio della Seconda Guerra Punica noto come gli Ozi di Capua, dunque è il momento di mantenere la promessa.
Il mio interesse per l'episodio è nato dal confronto tra le diverse fonti che ci hanno narrato il conflitto, anche se il solo racconto di Livio basta a suscitare notevoli perplessità. Odio farmi perplimere, dunque cerchiamo di vedere quali erano i miei dubbi, e quali sono le conclusioni che ho tratto.
Dopo Canne, Annibale viene raggiunto dagli emissari di Capua (deduciamo che Vibio Virrio fosse tra essi, come abbiamo visto in questo post), per siglare un'alleanza. Data la ricchezza della città Campana, quello era il più grosso ribaltamento diplomatico che il Cartaginese avesse ottenuto fino al momento, certamente tra i più grossi sperati, dunque si recò a Capua con l'esercito.

mercoledì 15 aprile 2015

Il ruolo strategico della cavalleria nella Seconda Guerra Punica

Nei post passati abbiamo cercato di valutare la qualità delle forze di cavalleria durante il conflitto librato da Annibale contro Roma. Ma perché Annibale decise di usare la cavalleria contro Roma? E la sua scelta era fondata e si rivelò vincente?
Come abbiamo visto soprattutto nel post sulla cavalleria numidica, la risposta alla prima domanda è scontata: non è la cavalleria in sé che Annibale cercava, ma un'arma dotata di rapidità e forza sufficienti a scompaginare e sbaragliare la fanteria di Roma. I numidi erano rapidi quanto basta, Annibale ne prese con sé un numero sufficiente per dotare il proprio esercito di quella potenza d'impatto che egli riteneva necessaria.
Alcuni dei presupposti sui quali egli fondò la sua scelta erano però sbagliati: c'era un motivo per il quale i Romani non avevano ancora sviluppato una forza di cavalleria degna dei reparti di fanteria, ed era l'orografia della penisola italiana.

In questa mappa sono poste a confronto l'orografia di Nord-Africa, Spagna e Italia. Delle tre regioni, la penisola italiana è certamente la più geologicamente tormentata.

sabato 4 aprile 2015

La Cavalleria a Roma

Dopo il post di sabato scorso, cominciamo a confrontare le diverse forze che incontreremo nel romanzo I signori dei cavalli, partendo da coloro che infine riuscirono vincitori dal conflitto: i Romani.
I signori dei cavalli ha come motivo portante la ricerca e la riscoperta della cavalleria, ed è stato sorprendente trovare episodi che sembrano presi dalle chansons de geste piuttosto che da autori classici, come le sfide a duello in singolar tenzone, con tanto di lancia, tra cavalieri romani e capuani.
Ma prima di addentrarci in tali stranezze, è bene fare un quadro chiaro della cavalleria all'epoca dei fatti narrati: quanto era importante negli eserciti? Che ruolo aveva? Chi erano i cavalieri?

Moneta romana al tempo della seconda guerra punica o immediatamente successiva (210–175 a.C.) che mostra sul recto il dio Marte con barba ed elmetto corinzio crestato e sul verso probabilmente la prima immagine di un cavaliere romano di epoca repubblicana con la dizione (L)ADINOD. Da notare l'elmo con pennacchi di crine di cavallo, una lunga lancia (hasta), un piccolo scudo (parma equestris) e un mantello fluttuante. Quincunx di bronzo della zecca di Larinum.
Fonte: Wikimedia Commons, licenza Creative Commons 3.0

sabato 28 marzo 2015

Hegeas Hipparchos

Giunto reduce da Canne vittoriosamente, Annibale tenta di assalire una città della costa, Neapolis, tentando di far cadere in un'imboscata le difese della polis.
L'anno è il 216 a.C., 30'000 uomini al comando del Cartaginese hanno fatto a pezzi un esercito monstre di 80'000 tra romani e alleati in una sola giornata nonostante, è bene ricordarlo, ci siano voluti ben otto mesi al Punico per prendere Sagunto, con tutti i rinforzi e le macchine d'assedio delle quali disponeva in Spagna. Quest'osservazione serva a mettere nella giusta luce la differenza che c'era all'epoca tra una battaglia campale e un assedio.
Invece di restare al sicuro dietro le mura (a lasciar cader pietre sugli assedianti), il comandante di cavalleria di Neapolis, al quale saranno rimasti sì e no trecento uomini, visto che molti erano caduti nelle precedenti battaglie dei Romani contro lo stesso nemico noto per astuzia, tecnica e consistenza numerica, si getta all'inseguimento di un gruppo di Numidi che fanno finta di saccheggiare il contado neapolitano, inoltrandosi “incautamente” (è il commento di Tito Livio che abbiamo riportato nello scorso post) in una serie di strade molto profonde (che lui, da comandante di quella stessa città, ovviamente non conosce…) poste a Nord della polis.
Vistosi perduto, invece di tornare verso la polis, il drappello supera gli acquitrini a oriente della stessa per cercare salvezza sulle imbarcazioni dei pescatori che in quel momento erano nel mare…

La Neapolis greco sannita del III sec. a.C. sovrapposta alla città attuale: a nord di Via Foria salgono colline con profondi letti di torrenti, già anticamente usati come strade. L'attuale Piazza Garibaldi, dov'è la Stazione Centrale, era paludosa fino al mare, a sud.
Mappa realizzata con Scribblemaps.

mercoledì 25 marzo 2015

Come è nato “I signori dei cavalli”

La fonte principale sull'assalto di Annibale a Neapolis è ancora una volta Tito Livio. Leggiamo il passo XXIII, 1 del suo Ab Urbe Condita per avere una prima versione dei fatti.
Subito dopo la battaglia di Cannae e la cattura e il saccheggio dell'accampamento romano, Annibale lasciò l'Apulia alla volta del Sannio, in seguito all'invito ricevuto da un tale chiamato Stazio Trebio, che aveva promesso di consegnargli Compsa se avesse visitato il teritorio degli Irpini.
[…] Lì Annibale lasciò tutto il bottino e il bagaglio, poi divise l'esercito in due divisioni, diede a Magone il comando di una e mantenne l'altra per sé. […] Lui stesso marciò attraverso il distretto campano verso il Mare Inferiore (il Tirreno) prevedendo di aggredire Neapolis in modo da avere una città accessibile dal mare.
Entrato nei confini di Neapolis, pose alcuni dei suoi Numidi in imboscata ovunque lo ritenesse conveniente, perché lì le strade sono per la maggior parte profonde, con molti tornanti nascosti. Agli altri ordinò di cavalcare fino alle porte conducendo innanzi a loro ostentatamente il bottino che avevano raccolto nei campi.
Siccome sembravano una forza piccola e disorganizzata, una truppa di cavalleria venne loro incontro, che fu attratta dai Numidi in ritirata nell'imboscata e circondata.
Non si sarebbe salvato un solo uomo se non fosse stato per la vicinanza del mare e per alcune imbarcazioni, per lo più da pesca, che essi videro non lungi dalla riva e che fornirono una via di fuga a coloro che erano buoni nuotatori.
Molti giovani nobili, comunque, furono presi o uccisi nello scontro, tra essi Hegeas, il comandante della cavalleria, che cadde mentre inseguiva troppo incautamente il nemico che si ritirava.
L'aspetto delle mura distolse il Cartaginese dall'attacco della città: esse non offrivano alcun appiglio per un assalto.

domenica 22 marzo 2015

Annibale (e non ce lo volevo)!

Quando ho scritto Neapolis - Il richiamo della Sirena speravo ardentemente che, nell'affrontare eventuali futuri romanzi, non avrei mai dovuto confrontarmi con personaggi storici di grande rilevanza.
Per uno scrittore, il personaggio importante è difficile da trattare in un romanzo che parla d'altro (le mie opere hanno come obiettivo la storia di Napoli) perché tende a manipolare l'azione, ad accentrare l'attenzione su di sé, tende a diventare l'oggetto unico della curiosità del lettore che dimentica il resto.
Poi ci sono i motivi squisitamente storici: di un personaggio famoso tutti sanno tutto ma, soprattutto, ciascuno ha una propria idea, una propria opinione, e il margine per romanzare la sua azione viene terribilmente assottigliato, quando non scompare del tutto. Insomma, una bella gatta da pelare, con la quale non mi volevo assolutamente confrontare.

giovedì 10 ottobre 2013

Miti in lotta

Il post di oggi potrà sembrare al limite della fantasia, giacché cercherò di illustrare come i miti abbiano una loro precisa consistenza nell'evoluzione della cultura di un popolo.
In concreto, il mito che analizzerò è quello della Sirena Perthenope in relazione alla sua città Napoli, e desidero mostrare come la sua affermazione nella tradizione neapolitana del V sec. a.C. sia un fatto politico di importanza fondamentale per dimostrare l'insistenza su Neapolis di popolazioni di diversa ascendenza, anche quando le prove archeologiche non ci supportano. Anzi, la valutazione di elementi filologici/leggendari può spiegare eventi storici altrimenti non meglio inquadrabili.
In questa storia abbiamo diversi attori mitologici: Apollo, Athena, Demetra, Parthenope stessa. I protagonisti umani sono invece i Teleboi che (si dice) da Capri/Sorrento fondarono Parthenope su Pizzofalcone, i coloni che dall'Eubea vennero a fondare Cuma, i Siracusani e gli Ateniesi.
È noto che, terminato il cosiddetto Medio Evo dell'antica Grecia, le città-stato (polis) erano i centri di aggregazione di questo territorio. Costantemente in lotta le une contro le altre, sapevano però fare fronte comune quando c'era da combattere un nemico esterno a questa litigiosa confraternita.
I motivi delle lotte erano tanti, non solo commerciali. In qualche caso, si trattava anche di motivi storici ed etnici, come è il caso di Atene, una delle città che vantava la propria ionicità dopo il Medio Evo (tra il XII e il IX sec. a.C.) che alcuni hanno voluto spiegare con la supposta invasione dei Dori.
La presunta invasione dei Dori

Andamento della presunta invasione dei Dori. L'unica prova certa di questo evento è l'analisi linguistica, nondimeno al termine del Medio Evo dell'antica Grecia, le diverse popolazioni greche si dividevano come illustrato nell'immagine

Dotati di queste differenze storiche e culturali, periodicamente le polis greche soffrivano periodi di sovrappopolazione, carestia, pestilenza, tutte condizioni che ne spingevano parte della popolazione a cercare miglior fortuna presso altri lidi. Nondimeno, Teleboi, Ioni, Eoli o Dori che fossero, tutti questi popoli si dicevano comunemente Elleni.
I Teleboi, se mai sono esistiti, sembra appartenessero a un'etnia precedente al Medio Evo greco, e dall'Acarnania e dalle isole dello Ionio erano anticamente giunti a Capri. Probabilmente erano loro i primi fondatori di Parthenope su Pizzofalcone (Acheloo, padre della Sirena Parthenope, è un fiume dell'Acarnania che verrà in seguito occupata dai Dori), e magari si deve a loro l'importazione su suolo italico del mito delle Sirene. Infatti, in tutta la penisola sorrentina troviamo riferimenti alle Sirene.
La colonizzazione della Magna Grecia

Andamento della colonizzazione in Magna Grecia divisa per etnie.

Ma in mancanza di dati certi, possiamo attribuire l'importazione del mito delle Sirene anche ai Calcidesi di Eubea, di stirpe Ionia, che fondarono Cuma e, da quella, Parthenope come avamposto commerciale. Anch'essi, infatti, vennero spostati verso la loro terra d'origine, l'isola di Eubea, dalla presunta invasione dei Dori.
Intorno al 470 a.C. si svolse la guerra tra Greci e Etruschi per il dominio del Tirreno. Per terra Cuma riuscì ad avere la meglio su di un esercito numerosissimo, ma per mare chiese l'aiuto dei Siracusani, grazie ai quali il dominio etrusco dei mari giunse alla sua conclusione e si aprì la strada ai traffici dei greci.
Sembra che durante la guerra Cuma abbia dovuto temporaneamente abbandonare Parthenope, probabilmente troppo esposta alle incursioni nemiche, o addirittura che abbia approfittato della guerra per abbandonare a sé stessa quella che si stava dimostrando una temibile rivale commerciale. Sta di fatto che i Cumani furono colti da una pestilenza e, per capire il significato di questo prodigio, inviarono un'ambasceria a Delfi.
La Pithya (la sacerdotessa di Apollo, dio degli oracoli e delle pestilenze ma soprattutto divinità dorica) suggerì loro di ricostruire Parthenope, cosa che i Cumani non si fecero ripetere due volte, creando così il nuovo quartiere, la Nea-polis.
Ma Siracusa, città fondata da Corinto e quindi di stirpe Dorica, non riuscì a essere sempre presente: la sua tirannide cadde e Atene (città ionia) approfittò di questa defaillance per espandere nel Mediterraneo occidentale il proprio cerchio di alleanze.
Le colonie della Magna Grecia divise per etnie

Mappa della Magna Grecia, con i territori divisi per distinte etnie. In bruno sono indicate le città fondate dai greci del nord-ovest (Illiri), in grigio dagli Achei (Eoli), in oro dai Dori e in viola dagli Ioni.

Orbene, Atene intorno al 450 a.C. era all'apogeo del suo potere, era naturale che cercasse di legare a sé le altre città ionie (come era Chalcis, lo ricordiamo, città madre di Cuma) anche con azioni di propaganda.
L'uomo che compì quest'azione di propaganda fu il navarca Diotimo, il quale giunse a Neapolis con dieci navi e seicento coloni, restaurò il culto della Sirena Parthenope (alcuni commentano espressamente “in chiave anti-siracusana”) e instaurò una corsa per portatori di fiaccola (lampadodromia) in suo onore.
Perché la Sirena Parthenope?
Perché la Sirena Parthenope era il nume esclusivo dell'antica popolazione. Sulle monete di Neapolis si trova spesso Apollo, ma questo era una divinità che Neapolis aveva in comune con Siracusa (nemica di Atene) e con Cuma, che ospitava l'antro della Sibilla, anch'ella sacerdotessa di Apollo.
Il piano diplomatico di Diotimo, arditissimo quanto riuscito, era invece quello di dare a Neapolis il pieno controllo del Golfo Kymaios (Cumano), con l'obiettivo di tagliar fuori Siracusa e i suoi alleati dallo scacchiere tirreno.
La monetazione ci aiuta a dire se quest'obiettivo riuscì e quanto: la moneta più comune di Neapolis è, per i seguenti duecento anni, uno statere d'argento con Parthenope sul recto, e Acheloo (non certo una divinità ionia al tempo di Diotimo, ma tradizionalmente Teleboica) sul verso.
Moneta neapolitana del IV sec. a.C.

Moneta neapolitana del IV sec. a.C. Sul recto è la testa della Sirena Parthenope, sul verso è Acheloo, padre delle Sirene, divinità fluviale effigiata come toro dalla testa umana, fiume dell'Acarnania, terra d'origine dei presunti Teleboi.

Diotimo riuscì a far trovare in quella protezione divina la molla d'orgoglio che rese Neapolis la città più potente del Tirreno centrale. Una protezione che non ha smesso di esistere solo perché sono trascorsi duemilacinquecento anni…
Molto si è detto sull'esistenza storica dei Teleboi, se essi non siano stata un'invenzione più tarda per giustificare elementi storici e filologici che, in altre epoche, non si era in grado di spiegare, confermare o confutare con documenti di altro tipo. A fronte della monetazione neapolitana è lecito chiedersi se, per quel che riguarda la storia della nostra città, il dubbio abbia davvero ragione d'esistere: per centinaia d'anni i neapolitani vissero ben convinti della loro teleboicità, sicuri dell'antichità del loro lignaggio, ed è con questa consapevolezza che essi si confrontavano con gli altri popoli. Lo facevano con l'arroganza di chi vanta nobili natali o antichi avi?
La ricostruzione che ho proposto in questo post e gli eventi che ho cercato di ricostruire in Neapolis - Il richiamo della Sirena dicono che no, fin dalle sue più lontane origini Napoli è stata una città di mescolanze. Nel nostro tempo di estremismi e intolleranze, l'accogliente spirito napoletano mi pare davvero l'antidoto giusto per il becero razzismo di paccottiglia che soffriamo.

mercoledì 12 giugno 2013

Phaleros: il primo nome di Parthenope

Mi sono recentemente accorto che, nel ripercorrere rapidamente la storia di Parthenope, ho appena accennato ad una fase relativamente importante, un periodo durante il quale la nostra città si chiamava Phaleros.
Questa fase storica, tramandataci dalle cronache greche e romane ma a suffragio della quale non rimangono evidenze archeologiche, ebbe luogo prima che Parthenope (qualunque cosa ella fosse) si arenasse sulla costa di Napoli.
Ripercorriamo un attimo la storia degli insediamenti locali: anticamente popolazioni autoctone vivevano nelle grotte (trogloditi) lungo la costa.
Questa costa offriva un approdo sicuro nell'isolotto di Macharis/Megalia (l'attuale Castel dell'Ovo) che fu così occupato da navigatori, alcuni propongono fenici.

venerdì 17 maggio 2013

Tour de Force

Carissimi, mi spiace di non essere riuscito a scrivere neanche un post per così tanto tempo, di non avervi tenuto al corrente di quanto accadeva sulle pagine di questo blog. A mala pena sono riuscito ad aggiornare la lista degli incontri mano a mano che l'editore riusciva a fissarne di nuovi. Insomma, quello che doveva essere una serie di alcune presentazioni è diventato un vero e proprio tour de force.
Anche per ovviare a situazioni del genere nel futuro, ho recentemente aperto una pagina su FaceBook dedicata al romanzo (il link è anche sulla colonna destra del blog). Chi desideri essere al corrente di cosa accade al romanzo giorno per giorno può collegarsi e “farsi piacere” la pagina. Va da sé che se condividete la pagina con i vostri contatti non me ne lamenterò. :)
In questi giorni di attività frenetica l'episodio più rocambolesco è stata la perdita dell'aereo di rientro ad Amsterdam la mattina del 9 maggio: avevo sbagliato a leggere l'orario del volo e… perso! In undici anni non mi era mai capitato.
Poco male: l'editore ha approfittato abilmente della mia aumentata disponibilità di tempo per proporre un'ultima presentazione la mattina di domenica 12, al castello di Lettere (NA), nell'ambito di una manifestazione più ampia.
Ma le date degli appuntamenti sono state comunque consultabili e mi pare il caso di tirare le somme di quest'esperienza, tanto per vostro beneficio, quanto per riordinare le mie idee.

Visualizza Neapolis - Il richiamo della Sirena - Tour di Presentazioni in una mappa di dimensioni maggiori.

venerdì 8 marzo 2013

I Nomi Degli Antichi

Diverse culture che usano diverse lingue, hanno presumibilmente anche diverse usanze per quel che riguarda l'onomastica degli individui. Nella stesura di Neapolis - Il Richiamo della sirena ho cercato di curare anche quest'aspetto, solo apparentemente di secondo conto.
Il nome col quale ci sentiamo chiamare tutti i giorni plasma in qualche modo la nostra personalità: sapere che esso si riferisce a un nostro avo, o che possiede un determinato significato, o che ci è stato attribuito per un determinato evento, influisce comunque sul nostro carattere, sul nostro umore, sul nostro modo di rapportarci col mondo. Potremmo sentirci orgogliosi, o schiacciati da un peso troppo grande, o pieni di voglia di rivalsa, e ciò per tutti i nostri giorni, giacché un nome non è una cosa che si cambi così su due piedi.
Ma vediamo dunque quali erano le usanze onomastiche ai tempi della vicenda del romanzo, cultura per cultura, cominciando dai Romani.
Nell'antica Roma, il sistema tradizionalmente riconosciuto dei tria nomina era un'usanza tarda, non anteriore nei documenti ufficiali al 100 a.C. I tria nomina erano praenomen, nomen e cognomen.

venerdì 22 febbraio 2013

La leggenda di Parthenope

In Neapolis - Il richiamo della sirena il ruolo attribuito alla sirena Parthenope nella vicenda parrà marginale. Nondimeno ella fa la sua comparsa e narra la propria storia.
Ho cercato di documentarmi naturalmente al meglio delle mie possibilità sulla vicenda di Parthenope, trovando più di quanto desiderassi, meno di quanto necessitassi. Le storie, le leggende su Parthenope non si contano, fondendosi spesso coi “si dice” privi di alcuna fonte. Alle fonti greche più antiche, che già si sovrapponevano e contraddicevano, secondo quell'abitudine così tipica nei frammenti greci di impiegare figure mitologiche e creare miti per spiegare eventi naturali, teorie filosofiche e scientifiche o, più prosaicamente, elevare oscuri alberi genealogici, si sono aggiunte le fonti romane che hanno apportato quel loro inconfondibile sapore di propaganda, la critica cristiana che ha cercato di cancellare il peccato dal pensiero stesso dei popoli, quella medievale, umanistica e rinascimentale che ha trasformato la sirena in una donna pesce, poi l'ha riportata a riva e ne ha popolato ogni anfratto della costa, quella spagnola e borbonica che aveva ormai perso la bussola e continuava ad apportare nuovi frammenti di incomprensione ad un mito perso nel tempo.
La filologia moderna, finalmente assurta al rango di scienza umanistica, potrebbe dire tanto in questo campo, e si percepisce in effetti la mancanza di un personaggio di peso che dedichi eccezionali doti di ricercatore alla pulizia del mito, al suo disseppellimento, al suo restauro, né più né meno che se fosse un reperto archeologico, ed alla sua conseguente divulgazione.
Io non posso chiaramente essere quel tale. Nondimeno, ho cercato di mettere insieme alcuni frammenti che mi sembra combaciassero, ed in questo post desidero farvi partecipi dell'idea che mi son fatto.

sabato 12 gennaio 2013

Una Ricostruzione: Le Forze in Gioco

Siamo così giunti all'assedio di Neapolis da parte dei Romani, all'epoca il più lungo assedio sostenuto dalla crescente potenza. Nel post precedente abbiamo chiarito che effettivamente l'assedio fu posto all'intera Neapolis, non solo a Parthenope come riferisce Livio. In questo post cercheremo di capire quali erano le forze in gioco e che impatto poteva davvero avere l'assedio di un esercito Romano dell'epoca ad una città marittima come Neapolis.
Ricordiamo gli elementi a nostra disposizione:
gli inviati (Romani), se avessero potuto così fare conquistando il favore degli uomini influenti, avrebbero dovuto condurre la città (Neapolis) a ribellarsi ai Sanniti
È un'esplicita dichiarazione che i Sanniti avevano potere in Neapolis, o non avrebbe avuto nessun senso la richiesta romana.
in quello stesso tempo ambasciatori mandati dai Tarantini erano andati dai Neapolitani;
anche altri erano giunti, mandati dai Nolani

sabato 5 gennaio 2013

Una Ricostruzione: il Bellum Neapolitanum

Abbiamo lasciato l'ultimo post commentando un'ambiguità che potrebbe essere riassunta dal sottotitolo Bellum Neapolitanum e Triumphum Paleopolitanum.
Mappa dei due nuclei di Neapolis rispetto alla Napoli attuale

Mappa dei due nuclei di Neapolis rispetto alla Napoli attuale. Immagine ospitata sul sito web dell'I.C. Fiorelli.

lunedì 31 dicembre 2012

Una Ricostruzione: Antefatto

Con la fine di questo 2012 giungo alla serie di post più attesi (spero): la ricostruzione degli eventi storici raccontati in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Sarà una serie di post di critica ed analisi delle fonti storiche che ho già presentato in precedenza, dimodoché qui indicherò dei rimandi, limitando al massimo le citazioni esplicite. Ciò è motivato soprattutto dalla lunghezza che ciascun post può avere senza tediare il lettore, l'esigenza è quella di presentare una materia articolata e complessa in uno spazio abbastanza ridotto.
Mi farebbe dunque immensamente piacere che voi lettori commentaste apertamente se il formato che ho scelto è di vostro gradimento: i suggerimenti non potranno che migliorare il blog.
Ma passiamo immediatamente alla storia e ad inquadrare il momento dell'assedio romano a Neapolis.
Nel 328 a.C. Neapolis era la città più importante del Sinus Cumanus (quello che oggi è chiamato Golfo di Napoli prendeva il suo nome latino dalla prima polis fondata nella zona), altrimenti detto Krater in greco (dalla forma di coppa).
Mappa del Sinus Cumanus con le principali città dell'epoca pubblicata nell'Allgemeiner historischer Handatlas di G. Droysens nel 1886

Mappa del Sinus Cumanus pubblicata nell'Allgemeiner historischer Handatlas di G. Droysens nel 1886.

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